Batteva sui tasti ma solo quando il cielo era nuvoloso. Preparava la sua postazione lontano da occhi indiscreti, disponeva tutto in ordine per avere il necessario a portata di mano senza dovere alzarsi a interrompere il ritmo della meditazione.
Lasciava scorrere le dita cercando l’unione, il punto esatto di congiunzione tra l’esperienza della terra e quella del cielo. Ne respirava il risultato, leccava le gocce di pioggia per sentirsi ancora più vicino e si abbandonava finalmente alla visione dei colori che entravano con ritmi diversi, a volte veloci e lineari, altre invece in modo caotico girando per tutto lo spettro visivo.
Lasciava che trovassero il proprio spazio fino a comprimerlo, fino a scoppiare. Poi usciva a formare fontane nel cielo mentre batteva ancora sui tasti.